da CORRIERE.IT del 13 aprile 2010
La battaglia di Tanjevic: «Forte e senza paura»
«Attacco la malattia come se sfidassi i Celtics»
L'ex c.t. italiano è reduce da un delicato intervento.
MILANO - «Sono ritto, e sto passeggiando». Intorno, il brusio levantino di una strada di Istanbul. È la storia di un «hombre vertical», gente che non fa mai sconti, a se stessi, neppure al destino. Combattenti irriducibili, che lo sport regala come esempi di vita. Bogdan Tanjevic, per tutti Boscia, allenatore di basket, zingaro feroce e felice. Sempre ardente al fuoco della passione, sempre pronto a ubriacarsi di vita e di guerra. Brindando alla luna e all’utopia, come filosofia. Improvviso e subdolo un nemico: dieci giorni fa è stato operato. Gli hanno asportato un tumore al colon e un altro al fegato. Ma lui adesso cammina: «Due settimane di piccole passeggiate». Spiega con la sua voce roca e sempre concitata, per la fatica di tener dietro all’onda travolgente dei pensieri. L’intervento a Istanbul, anche se in tutta Europa e negli Usa erano pronti ad accoglierlo. Ma lui, no: «Dove il nemico ti attacca, è li che devi combatterlo. Se scappi da un’altra parte, dimostri di aver paura. Anche in questo caso la mia era un’ottima squadra, fatta di specialisti eccellenti: mi sono sempre fidato delle mie squadre».
L’intervento è tecnicamente riuscito. Perfettamente. L’organismo sembra del tutto ripulito. Alle due settimane di passeggiate riabilitative, ne seguiranno altre otto di chemioterapia. Dicono non particolarmente aggressiva. Per sicurezza, diciamo? «Sicurezza? Un cavolo — ribatte Boscia —. Sarà come andare a disinnescare una bomba pericolosa e complicata. Ma io sono forte. Combatterò». Il coraggio non significa incoscienza: «Sai — continua con il suo determinato fatalismo —, gli slavi non dormono mai: attaccheremo anche questo». Boscia scoppia a ridere: «Ma non sapete come siamo fatti, noi montenegrini? Negli anni maledetti che hanno dilaniato il mio Paese, dalle mie parti un pastore alzò gli occhi al cielo, dove sibilavano gli aerei carichi di bombe, e agitando il suo bastone esclamò: finalmente un degno nemico! Me l’ha raccontata il mio grande amico Paolo Rumiz, che mi ha mandato un messaggio di tre sole parole, che fanno una poesia: Luna. Ora. Sopra». Lo abbiamo chiamato in tanti modi, Boscia Tanjevic, l’uomo che sussurra ai cavalli, il realista-sognatore, e lui ha sempre privilegiato lo scontro aperto con la critica: «Che volete capire voi giornalisti?— ripeteva a ogni nuova stagione— Io non costruisco squadre per vincere lo scudetto, ma per sfidare i Boston Celtics e i Los Angeles Lakers». Nel gioco tra noi, lui era lo zingaro indovino Melquiades di «Cent’anni di solitudine», uno dei capolavori di Gabriel García Márquez. L’indovino che diceva: «Le cose hanno vita propria. Si tratta soltanto di risvegliare loro l’anima».
È la citazione preferita da Boscia. Ma quello in cui lui si è sempre maggiormente riconosciuto è il colonnello Aureliano Buendia, con alle spalle 23 rivoluzioni combattute, tutte perse, pronto alla prossima. Una notte di fine estate a Rovereto. Memorabile. In molti lo stavamo duramente inchiodando alle sue responsabilità di venditore di sogni, snocciolando l’interminabile elenco delle volte in cui ci aveva ingannato spacciando «bufale» per futuri giocatori da Nba. Sembrava subire passivamente: «Per favore, uno sigàro...».
Lo accese, non si difese, attaccò: «Chi è il più grande allenatore del mondo? Dio! Sapete spiegarmi perché Lui, quando ha fatto la Sua squadra, ha messo in formazione anche la zanzara? Eh? Che c’entra, a cosa serve, la zanzara? Se qualche volta ha sbagliato anche Lui, che volete da un povero zingaro?». Boscia voleva un’altra grappa, e con lui le notti non finivano mai. In un sistema culturalmente molto balcanico, adesso gli hanno detto che tra venti giorni, se vorrà, potrà tornare a fumare. Tra un mese allora in palestra? «Farò quello che diranno i medici. In questo momento sono la mia squadra e io ho sempre creduto ciecamente nelle mie squadre». Ma intanto sta pensando al tenore Placido Domingo, che ha subito il suo stesso intervento e due mesi dopo è tornato a cantare. Figurarsi se può rimanere indietro Boscia, uno di quegli uomini che sognano di abbattere gli aerei con un bastone.
Werther Pedrazzi
martedì 13 aprile 2010
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