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domenica 30 maggio 2010

PLATINI:LA TESSERA DEL TIFOSO E' UNA SCHEDATURA.

DA LASTAMPA.IT


Il capo dell'Uefa a Torino per i 25 anni dalla tragedia dell'Heysel: «Forse per l'Italia era meglio non candidarsi a Euro 2016

Presidente Platini, visto il giorno, non si può non cominciare dall’Heysel.

«Come presidente dell’Uefa mi sono preso un impegno solenne. Mai più. La tragedia è servita. Gli stadi sono cambiati: via le barriere, via i posti in piedi, anche se gli ultrà ne hanno nostalgia. A questi giovanotti gli parlerò io».



Non più da attore protagonista, ma da dirigente: fu vera, quella partita?

«Sì. Non ci avevano mica scommesso su. Juventus e Liverpool la presero seriamente. Boniperti ha ragione: c’erano coltelli, pistole, se non si fosse giocato sarebbe stato mille volte peggio».



Sapevate o non sapevate dei 39 morti?

«Non sapevamo. L’Heysel bolliva, ci si chiedeva tutti perché la finale non cominciasse mai».



Il rigore, l’esultanza, l’esposizione della coppa.

«Furono giorni molto difficili. “Libération” mi dedicò questo titolo: Platini ha ballato sulla pancia dei morti. Fate un po’ voi».



Nella ricostruzione e nella ripulitura, gli inglesi hanno agito prima e meglio di noi.

«Le stragi dell’Heysel e di Hillsborough li costrinsero a entrare a gamba tesa sugli hooligans. Senza, chissà come sarebbe andata».



Tessera del tifoso: favorevole o contrario?

«È un fatto italiano. Personalmente, non mi piace. L’Uefa non fa schedature. Il pubblico di Madrid, meraviglioso, era metà dell’Inter e metà del Bayern. Il calcio e il tifo che sogno».



Perché l’Italia ha perso gli Europei 2012 e gli Europei 2016?

«Non certo per la violenza. O, quanto meno, non solo. La violenza è un fenomeno transnazionale. Tocca ai governi sgominarla, alle forze dell’ordine. L’importante è che i club non facciano i furbi. I nomi dei delinquenti sono noti a tutti».



E allora, perché: per gli stadi?

«Nessun dubbio che i vostri siano vecchi. Molti aspettano un Mondiale o un Europeo per rifarli. Non è obbligatorio: ci si può muovere anche “prima”. Magari, quando la Francia rifiutò la vostra proposta di fifty-fifty, e disse che avrebbe voluto correre da sola, sarebbe stato più opportuno ritirarsi. Forse. Credo che, per Abete, il vero smacco sia stato quello di Polonia e Ucraina, non questo. Rocco Crimi ha fatto i miracoli, ma aveva di fronte due presidenti della Repubblica».



La prima finale di Champions al sabato: contento?

«Non abbiamo spezzato il ritmo lavorativo, ho lasciato Madrid con gli occhi pieni di coppiette e famigliole. A livello televisivo, ci è costato un 4% di share in Europa, ma abbiamo guadagnato addirittura il 50% nelle Americhe e in Asia».



I giudici di porta?

«Avanti tutta. Dalla Europa League alla Champions e agli Europei 2012, dalle qualificazioni all’epilogo di Kiev. E anche a Montecarlo, per la Supercoppa fra Inter e Atletico Madrid. Blatter detesta che facciano un passetto in campo, io no: più entrano e “coprono”, meglio è».



Quanto vi sono costati?

«Quattro milioni di euro. Le federazioni sono libere, noi procediamo. Obiezione: in Azerbaigian non nuotano nell’oro: vero, ma in Azerbaigian non ci sono moviole. Uno a uno. Resta un altro problema».



Quale?

«Il fuorigioco. Lì, gli arbitri ausiliari possono ben poco. Presto coinvolgeremo gli assistenti in un lavoro più capillare e specifico. Non fidatevi della tv: inganna».



Sul fronte del fair play finanziario ha dovuto rallentare.

«La mia rivoluzione non contempla la ghigliottina. Entrerà a regime dal 2014: chi può spendere, spenda; ma chi non è in regola, fuori. Per i primi tre anni a partire da adesso sarà tollerato un deficit di 45 milioni (15 l’anno), poi 30, poi si vedrà. Al diavolo la finanza fru-fru: o aumento di capitale o ciccia».



Gira la voce che Jean-Claude Blanc entri nel calderone di Euro 2016.

«Questa mi giunge nuova».



Andrea Agnelli presidente della Juventus?

«Posso pesare il cognome, non il valore dell’uomo: ci siamo frequentati poco. Però mi ha fatto una buona impressione».



Del Neri?

«Non lo conosco».



L’Inter senza italiani: preoccupato?

«Mi preoccuperebbe di più un’Italia con undici brasiliani naturalizzati. O una Francia, o un Belgio. L’idea del 6 + 5 (sei nativi e cinque stranieri, per dirla in parole povere) era giusta, ma cozzava contro le leggi, per questa ho lasciato il cerino a Blatter. Preferisco concentrarmi sui passaporti facili. E sul mercato dei minorenni: questa sì, una piaga immonda».



Che Mondiale sarà?

«Aperto, bello, freddo. Copritevi... Mi intrigano le africane: faranno ’sto benedetto salto di qualità? La mia griglia: Brasile, Spagna, Inghilterra in pole, poi una decina di squadre fra le quali l’Italia».



Lippi, Domenech: cosa cambia a giocare sapendo che cambierà il ct?

«Un bel cavolo di niente. Conta chi gioca, e quando si gioca».



Non si direbbe che conti «solo» chi gioca. Mourinho prende undici milioni netti.

«Evviva Mourinho, abbasso il Mourinhismo. I protagonisti devono restare i giocatori, quando lo diventano gli allenatori mi incavolo. Bayern-Inter si era trasformata in Van Gaal contro Mourinho. E Diego Milito? Nei titoli di coda».



Se la sente Sacchi...

«Un grande stratega, ma ha vinto con il Milan di Gullit, Rijkaard e Van Basten, non con il Parma. Se non torniamo in fretta a una più equa spartizione dei meriti, il calcio diventerà playstation».



C’era una volta il numero dieci, la fantasia al potere. Prenda gli azzurri: né Totti, né Del Piero, né Cassano.

«O accettano di stare sulla fascia o non se ne parla. Ribery, Ronaldinho, Zidane quando era al Real. Avrebbero messo all’ala pure il sottoscritto. Ai miei tempi, invece, sulla fascia correvano gli scarsi: Boniek, Cabrini... (sorride)».



Insomma, colpa degli allenatori?

«E di voi giornalisti, che li avete innalzati a padreterni».



Anche lei, però, fece l’allenatore.

«Prego, io feci il selezionatore della Nazionale francese. Cosa completamente diversa. Una pacchia, nel periodo in cui ci si vedeva una volta al mese; un disastro, quando ci qualificammo per gli Europei 1992, in Svezia, e mi toccava sorbirli tutti i santi giorni. Lasciai anche per questo, non solo per il k.o. nella fase a gironi».



Perché ha deciso di ricandidarsi nel 2011?

«Perché prima o poi voglio consegnare una coppa alla Juventus. Temo però che dovrò allungarmi il mandato, da quattro a otto anni».

ROBERTO BECCANTINI

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